Etichetta delle mie brame, chi è il brand più etico del reame?
Siamo davanti a un reale cambiamento negli acquisti della moda per una significativa evoluzione della mentalità dei consumatori. Questo è quello che ci dice un report di Trustpilot condotto a livello internazionale in collaborazione con London Research (2800 consumatori, 200 in Italia). Siamo davanti a un orientamento crescente degli acquirenti verso brand che si prendono cura dei lavoratori all’interno della loro filiera produttiva e dell’ambiente, una consapevolezza etica che oggi sta dettando le nuove rivoluzionarie regole. Secondo l’analista di moda Olivia Pinnock, che ha creato una serie di eventi chiamati The Fashion Debates (Dibattiti sulla moda) “Siamo di fronte a una generazione che è consapevole del fatto che comprare una maglietta per 5 sterline non può essere considerato etico, quando ci sono così tante persone nella filiera di produzione da pagare”. Dobbiamo considerare però alcuni meccanismi: “I tagli del fast fashion sui diritti dei lavoratori e sull’ambiente ci hanno abituati tutti all’abbigliamento a buon mercato” — spiega. “Hanno alterato la nostra percezione dei costi. E poi c’è la questione della disponibilità. La stragrande maggioranza dei vestiti, al di fuori di una pandemia, viene acquistata nei negozi e sono solo le grandi catene che offrono prezzi altamente competitivi, a potersi permettere di aprire filiali in ogni città”.
Scelte di moda stile ‘sette nani’
Dalle ricerche emerge che la maggior parte degli intervistati non spende di più in moda, ma tende a spendere come prima o addirittura meno. Questa notizia non è sorprendente considerando la situazione pandemica. Inoltre essendo periodicamente tutti sottoposti a misure di isolamento e/o distanziamento sociale abbiamo dato priorità all’abbigliamento comodo. Che questa sia una scelta ambientalista o dettata da una situazione economica si capirà quando usciremo dal contesto di recessione economica dettata dalla pandemia. Resta quello che la stessa Pinnock definisce ‘l’elefante nella stanza’. A farsi strada tra i consumatori è la consapevolezza che oltre a scegliere etichette del commercio equo e solidale e a pretendere dai brand il rispetto degli standard etici e ambientali, occorre acquistare meno vestiti. La rivoluzione negli acquisti è proprio quella rivoluzione gentile che considera il capo come un prodotto legato alla vita delle persone, un ‘emozione, un ricordo di ciò che abbiamo vissuto. Sempre di più diventa importante porsi 3 domande quando si fanno acquisti: È veramente ciò che voglio? Lo userò? Ne vale la pena?” Una evoluzione che ci sta riportando a come era prima dell’avvento della fast fashion.
“Compra la mia mela, cara ragazza!” dice la strega a Biancaneve
Di chi ci fidiamo quando acquistiamo? Se consideriamo che le persone sono più caute nel fare acquisti, data la grande incertezza che grava sull’economia globale, allora è facile pensare che i consumatori cercano di essere sicuri che gli articoli che acquistano siano adatti a loro. La novità è che questo non riguarda più l’aspetto, le dimensioni e il prezzo. Come dimostrato dall’inchiesta di Trustpilot, i clienti sono attratti da brand che condividono i loro stessi valori etici e sono gentili con i loro lavoratori e con il pianeta. Con l’etica, la sostenibilità e l’ambientalismo che giocano un ruolo importante nelle decisioni d’acquisto, a chi si possono affidare i consumatori per ottenere consigli su cosa comprare? Qui, la ricerca fornisce una risposta che non lascia spazio a dubbi. I consumatori si fidano gli uni degli altri. Il passaparola di amici e parenti è la fonte più accreditata tra gli shopper, con il 44% che ne che ne attribuisce un livello di fiducia “alto”. E l’Italia? I consumatori italiani sono senza dubbio i primi quando si tratta di prendere decisioni d’acquisto basate sulla copertura mediatica dei brand. Più di 3 su 4, infatti, sono stati influenzati da storie circa l’etica dei brand (il 79%) e le condizioni lavorative che questi offrono (il 77%). Ciò, con ogni probabilità, è dovuto al fatto che l’Italia è il primo produttore di abbigliamento in Europa, per cui l’impatto ambientale e le condizioni lavorative sono fattori che toccano più da vicino gli acquirenti italiani.
La fedeltà del cliente-principe azzurro
Chi guida le nostre scelte quando abbiamo bisogno di vestirci sono e resteranno sicuramente il look, il feeling, il design e il presso di un capo. Tuttavia un nuovo criterio sta prendendo sempre più forza. I clienti vogliono essere sempre più sicuri che il brand condivida i loro stessi valori. Molti di noi desiderano avere la consapevolezza che un business sia gestito in modo etico e che faccia del suo meglio per garantire che le persone che vi lavorano all’interno siano trattate con rispetto e pagate in modo adeguato, senza perdere di vista l’attenzione alla sostenibilità. Uno dei principali risultati di questa ricerca è che più di quattro clienti su cinque (l’82%) smetterebbero “sicuramente” (il 31%) o “probabilmente” (il 51%) di acquistare da un determinato marchio che si è rivelato essere privo di standard etici.
Valori come Riciclo, Riuso e Attenzione alla Persona sono le caratteristiche del nostro brand.
Fonte: Ansa.it
Ma praticamente cosa trova un cliente quando viene al Dress Again?
Buone condizioni di lavoro che rendano il lavoro veramente degno e creatore di nuove possibilità per le donne in stato di fragilità, un packaging ecosostenibile, abiti realizzati con materiali riciclati o con stoffe etiche e sostenibili e un second hand selezionato e di qualità.